IL POTERE DELLE PAROLE
Il 21 marzo si celebra la Giornata Mondiale della Poesia, istituita dall'Unesco nel 1999, che coincide così con l'inizio della primavera. Un inizio di cui, quest'anno, potremo godere solo dalle nostre finestre e dai nostri balconi, osservando con quale velocità i boccioli sugli alberi si stiano trasformando in meravigliosi fiori. La primavera non si ferma, sembra non accorgersi di tutto quello che sta investendo questo nostro mondo ormai stanco e continua ad esplodere, allungando le nostre giornate e facendo ritornare il volo delle rondini nel nostro cielo: tutto questo accade mentre noi studiamo e lavoriamo da casa, mentre ci improvvisiamo chef e pasticceri nelle nostre cucine, mentre torniamo ad allenarci con quella vecchia cyclette impolverata, mentre divoriamo tonnellate di libri, mentre terminiamo quella serie tv che non eravamo riusciti a finire, mentre ci videochiamiamo per ricordarci che facce abbiano i nostri amici e parenti e mentre ci annoiamo comodamente sul nostro divano. Non dimentichiamoci, però, della realtà meno tranquilla rispetto a quella delle nostre case, quella che stanno vivendo i nostri medici e i nostri infermieri negli ospedali, dove – come nella serie Game of Thrones – sembra che “winter is coming”, dove sembra che non sia mai andato via e stia tornando l'inverno. O meglio, l'inferno.
Mentre facciamo da spettatori inermi e impotenti a tutto quello sta succedendo fuori dalle nostre case, non sottovalutiamo il potere salvifico delle parole, che ci fanno sentire vicini ai nostri cari tramite i mille messaggi che ci scambiamo in queste infinite giornate, e del potere benefico che la poesia stessa può avere sul nostro stato d'animo. “La poesia è sempre più di attualità perché rappresenta il massimo della speranza, dell'anelito verso il mondo superiore” scriveva il poeta Andrea Zanzotto ed è in virtù di queste parole che pubblichiamo la bellissima poesia di Mariangela Gualtieri, attualissima e descrittiva di quello che tutti noi pensiamo, facciamo e desideriamo in questi giorni.
Nove marzo duemilaventi
Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch'era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c'era sforzo umano
che ci potesse bloccare.
E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere –
forse la specie nostra ha ubbitdito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c'è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.
Adesso siamo a casa.
È portentoso quello che succede.
E c'è dell'oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d'oro per noi. Se ci aiutiamo.
C'è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.
È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d'un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l'universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.
Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogi specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.
Una voce imponente, senza parola
che dice ora di stare a casa, come bambini
che l'hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.
Guardare di più il cielo,
tingere d'ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un'altra mano
sentire forte l'intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.
A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora –
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro.
Fabiana Vilone